Un istintiva attrazione dell’essere umano per la natura.
Biofilia = amore per la vita In accordo all’ipotesi formulata dal sociobiologo Edward Wilson nel 1984, gli esseri umani sono predisposti biologicamente a cercare il contatto con le forme naturali (biofilia); l’istintivo interesse per le forme viventi costituisce il primo passo per decentrarsi da se stessi e provare un senso di affiliazione con gli altri esseri viventi (empatia). Intorno a questa ipotesi si impegna l’Ecologia Affettiva, una branca dell’Ecologia che studia la nascita, lo sviluppo e la maturazione delle relazioni cognitive ed emozionali tra gli esseri umani ed il mondo vivente. A partire dal 2012 l’Università della Valle d’Aosta ha istituito il primo laboratorio di Ecologia Affettiva in Europa, presso la Facoltà di Scienze della Formazione, guidato da Giuseppe Barbiero, ricercatore che conduce da alcuni anni delle sperimentazioni su come “svelare” la biofilia dei bambini. L’analisi della biofilia e la tendenza ad essa opposta, la necrofilia, ha rappresentato il filo conduttore del pensiero dello psicoanalista tedesco Erich Fromm, formatosi alla famosa Scuola di Francoforte. Il necrofilo si caratterizza per l’attrazione verso tutto ciò che è morto, privo di vita, che tende alla dissoluzione, alla distruzione di nessi vitali, per l’approccio freddo e distante nei rapporti umani, il desiderio più o meno manifesto di riportare o ridurre il vivente al non vivente, e quindi la preferenza per il meccanico, per il passato, per il controllo e il potere rispetto a quanto esprima movimento, vita e desiderio di vivere. Il timore del futuro e dell’incerto, tipici del necrofilo, lo portano a perseguire l’immobilità quasi come unica certezza possibile dell’esistenza. Andando oltre i concetti di impulso di vita e impulso di morte – che, nella formulazione di Freud, hanno un andamento parallelo e uguale valenza – per Fromm la necrofilia può essere la risultante di una vita non vissuta, delle proprie possibilità disattese e delle capacità frustrate; in ultima analisi, della propria incapacità a vivere una esistenza significativa. La biofilia, per contro, è amore per il vivente, per tutto quanto cresce, è strutturato, non è smembrato, che aspira all’unità, alla ricerca di senso, è espressione dello sviluppo delle qualità umane, circolazione di pensieri ed affetti. Tutto ciò che è vivo vuole vivere. La vita si autoalimenta, tende a creare altri spazi di vita e di amore nella vita. L’insorgere e il manifestarsi apertamente di tendenze necrofile risulta favorito da un sistema socioeconomico che porta a considerare se stessi e gli altri alla stessa stregua di merci, che valuta le persone secondo la loro vendibilità (con riferimento alle leggi della domanda e dell’offerta), dove non sono le individualità, ma le parti vendibili di esse ad entrare in relazione. Una città può esprimersi con la Natura e non “contro” la natura? Si certo… questo é proprio l’obiettivo di Bioma Urbano!
BIOFILIA, ARCHITETTURA PER LA MENTE
Gli essere umani si connettono fisiologicamente e psicologicamente a quelle strutture che sono caratterizzate da una complessità organizzata, mentre tale link risulta minore verso gli ambienti piani, o che presentano una complessità caotica. Ne consegue che per noi gli ambienti costruiti risultano avere una funzione cruciale, pari a quella della “natura”. Il processo di connessione (definito nel seguito) gioca un ruolo fondamentale nelle nostre vite, influenzando il benessere fisico e mentale. Lo studio delle caratteristiche geometriche della complessità visiva, dispensatrice di effetti benefici, rivela la vicinanza di questa alle strutture biologiche e l’applicazione di tali concetti all’architettura porta a due conclusioni. In primis, che dobbiamo introdurre più natura nei nostri ambienti quotidiani, in modo da sperimentare direttamente tutto ciò; e poi, che dobbiamo formare il nostro ambiente costruito in modo da incorporare la “geometria della natura“. Natura, nutrimento neurologico. Gli esseri umani sono predisposti biologicamente a cercare il contatto con le forme naturali. Secondo Edward Wilson (1984), non si può vivere una vita sana e completa lontano dalla natura. Perciò, abbiamo bisogno del contatto diretto con le forme di vita, e non con gli squallidi surrogati che vediamo oggi in così tante opere architettoniche. L’ipotesi di Wilson circa la biofilia asserisce che abbiamo bisogno del contatto con la natura, e con la complessa geometria delle forme naturali, tanto quanto necessitiamo per il nostro metabolismo di elementi nutritivi e di ossigeno. Una caratteristica della bio-architettura, pertanto, è la stretta correlazione tra strutture artificiali e naturali. Obiettivo raggiunto inserendo elementi naturali all’interno dell’edificio, con l’utilizzo di materiali e superfici naturali, sfruttando l’illuminazione naturale e inserendo del verde nell’edificio. Comporta anche l’inserimento dell’edificio in un ambiente naturale, in contrapposizione alla semplice distruzione dell’ambiente naturale per far posto all’edificio (Kellert e altri, 2008). Molti architetti sono convinti di seguire questa via, ma in genere al posto della natura inseriscono una sbiadita immagine della stessa: una rappresentazione artificiale, un surrogato a cui difetta la necessaria complessità. Ciò deriva dall’astratta concezione dell’architettura applicata nel corso del XX secolo, e che continua oggi. Qualche angolo di prato e poche piante in vaso non sono altro che una astrazione della natura. È un’immagine minimalista che manca di complessità e di ordine. La biofilia richiede una connessione di portata maggiore e più forte con la vita di piante e animali, al punto da poter divenire un supporto per gli ecosistemi e le piante autoctone. Qualche buona soluzione inserisce piccoli ecosistemi costituiti da una varia combinazione di piante in un giardino o nel cortile dell’edificio. Un semplice prato, al contrario, anche se preferibile ad un pavimento di cemento, presenta la stessa pulizia visiva di una lastra piatta. I nostri sensi lo percepiscono come un’unica scala e non sono in grado di connettersi ad esso in modo frattale. In più, il prato è una monocultura che risulta irrilevante nella ecologia di un luogo, dato che esiste in un’unica scala ecologica. Mentre la natura mostra sempre maggiore complessità ecologica: l’interazione fra piante porta alla complessità visiva, che diviene sorgente di nutrimento neurologico. L’applicazione di tali concetti produce edifici che divengono più sostenibili, incorporando processi naturali che aiutano a raggiungere l’efficienza energetica. La sostenibilità procede di pari passo con un nuovo rispetto per la natura, derivante dalla biofilia (Kellert e altri, 2008). Nonostante tutti i benefici, per gli utenti che si connettono all’ambiente naturale all’interno del proprio spazio lavorativo, questo primo approccio rappresenta solo una parziale soluzione. L’elemento biofilico qui è legato alle piante vicino e dentro l’edificio, ma l’edificio stesso potrebbe essere costruito con una forma artificiale o aliena e con l’utilizzo di materiali artificiali. La connessione umana in tal caso sarebbe possibile solo con la forma delle piante, mai con l’edificio stesso. Un problema particolarmente evidente nel momento in cui la maggioranza degli architetti utilizza materiali industrializzati e tipologie costruttive moderniste, senza porsi tanti problemi. Questa pratica porta solo a destabilizzare le connessioni alla natura di cui l’uomo necessita. L’aspetto naturale di un edificio industrializzato costituito da edificio più giardino è semplicemente quello di un componente biologico aggiunto a una struttura di base ostile alla sensibilità umana. C’è sempre un contrasto stridente tra l’edificio e gli elementi naturali che include. Si arriva così ad una disconnessione neurologica. Un secondo e più profondo aspetto della architettura biofilica arriva a incorporare le qualità geometriche essenziali della natura tanto nell’edificio quanto nella struttura urbana, comportando una più articolata geometria del costruito, che segue la stessa complessità delle forme naturali. Ancora, il rischio è di non comprendere a fondo queste geometrie, copiando in modo anonimo forme forse irrilevanti per un dato edificio o città. Le riviste di architettura sono piene di immagini di edifici simil-organici (e irrealizzabili); mentre qui intendiamo edifici ordinari d’aspetto ma più vicini alla umana sensibilità. A esempio, costruire una copia di un organismo con materiali industrializzati produce solo un’icona che non contribuisce a creare alcun livello di connettività. La forma di un mollusco gigante, di un ameba o di un millepiedi, rappresenta pur sempre un’astrazione imposta ad un edificio; appena preferibile come concetto ad uno scatolone immenso o a uno spazio rettangolare. Tutto ciò è il segnale di una incomprensione di fondo verso la struttura vivente, che si connette alla scala “umana” attraverso dettagli organizzati e connessioni gerarchiche (Alexander, 2001-2005; Salingaros, 2005; 2006).
Informazione e organizzazione. Il nutrimento neurologico deriva dall’intreccio tra informazione e sua organizzazione. Questo meccanismo connettivo agisce a tutti i livelli spaziali, dalla scala “micro” alla città. Le corrette regole connettive sono state riscoperte spesso dalle società tradizionali, applicate nelle architetture antiche e vernacolari. Gli ornamenti tradizionali, i colori, le superfici articolate e la forma degli spazi interni aiutavano a raggiungere la connettività dell’informazione. A lungo male interpretati come copie della natura, gli ornamenti alla loro massima espressione sono molto più: un distillato di regole connettive che attivano direttamente i nostri meccanismi neurofisiologici. Qualità per nulla presenti nell’ideologia delle scuole dominanti l’architettura del ’900. Alcuni architetti biofilici ritengono che il nutrimento neurologico sia legato strettamente alle forme viventi. In base a questa idea, le forme e le superfici di ornamento vengono derivate dalle forme naturali, ma ciò porta solo ad un’esperienza indiretta (a un surrogato). Noi, d’altro canto, crediamo che sia la complessità geometrica sottostante a ogni struttura vivente a nutrire gli esseri umani. Questa geometria si può esprimere tanto negli organismi biologici quanto nei manufatti e nelle costruzioni: l’unica differenza sta nell’intensità (Alexander, 2001-2005). Se correttamente inserita, non è neurologicamente distinguibile, si ha solo una diversa intensità.
Ogni essere vivente presenta questa geometria essenziale in modi sorprendenti, mentre solo la più grande creazione umana può avvicinarsi a tanto. In tale visione, la distinzione tra la vita e l’artificiale è lasciata intenzionalmente vaga, e la vita stessa viene descritta in termini geometrici. Allo stesso tempo, questo approccio permette di spiegare l’intenso legame che le persone sentono con alcuni oggetti, ad esempio con le opere e le creazioni del nostro passato. Tecnologia e spiritualità. Le tecniche tradizionali per la creazione di strutture che attivano il nostro apparato neurologico, sono legate a spiegazioni spirituali che non sono in genere accettate dagli architetti contemporanei (e dai loro clienti). La connessione più intensa è raggiunta nei siti sacri, negli edifici e nelle opere del passato. Solo recentemente una spiegazione scientifica è stata data per quelle che in origine erano le pratiche mistico-religiose relative all’architettura e al design (Alexander, 2001-2005; Salingaros, 2006). Oggi, è finalmente possibile costruire un edificio a noi intensamente “legato”, dando spiegazioni scientifiche ed estendendo la logica geometrica del mondo naturale a quello costruito. Per riassumere, al momento si stanno delineando due diverse correnti nella bioarchitettura contemporanea (Kellert e altri, 2008). Una continua nell’utilizzo di tipologie industrializzate, ma inserisce piante e strutture naturali con una qualche originalità; l’altra modifica i materiali, le superfici e la geometria stessa dell’edificio per ottenere la connessione neurologica con l’utilizzatore. Questa seconda corrente è legata più profondamente alle architetture antiche, alle architetture sacre e a quelle vernacolari. Finora, il primo metodo (high-tech) ha goduto di un innegabile vantaggio nei confronti del secondo (matematico/sacrale), dovuto al suo allineamento con i meccanismi economico/industriali della società globale. Comunque, pur essendo visivamente e filosoficamente molto differenti, queste due correnti stanno contribuendo a riscoprire la nostra interconnessione all’ambiente. Forse l’impatto maggiore del movimento biofilico sta nell’aver stabilito l’importanza di un ben definito gruppo di qualità geometriche. Le forme viventi e le caratteristiche geometriche che presentano devono essere protette dalla distruzione, poiché ci forniscono l’essenziale nutrimento neurologico (Wilson, 1984). Questa è la motivazione principale per la conservazione sia delle specie biologiche, sia delle architetture storiche e tradizionali. Tre concezioni dell’essere umano. Le tecniche della biofilia si basano su meccanismi mentali e fisici che le persone sviluppano in risposta all’ambiente naturale (Kellert e altri, 2008). È quindi opportuno considerare la stessa natura degli esseri umani, che consente di affermare come la progettazione biofilica sia necessaria e non opzionale. Molti lettori potrebbero male interpretare l’attenzione della biofilia verso la natura, considerandola come un tentativo di allontanare l’attenzione dall’umanità stessa, sebbene l’obiettivo sia quello di migliorare la vita dell’uomo. La discussione che segue si rende perciò necessaria per evitare che il nostro lavoro venga considerato alla stregua di ogni altro “stile” architettonico, che può essere più o meno applicato seguendo la moda del momento. Possiamo definire la natura umana secondo tre differenti visioni, ciascuna sintetizzata nel seguito. A un primo livello, l’essere umano è considerato un componente all’interno di un mondo astratto, meccanico. Qui gli esseri umani interagiscono in minima parte con il mondo naturale, in una condizione di separazione: è una concezione astratta dell’umanità, rappresentativa di molto pensiero moderno. È il mondo dell’architetto contemporaneo, in cui gli umani entrano nel progetto solo come bozzetti, foto intenzionalmente sfuocate, ombre indistinte sullo schermo di un computer. Serve solo la rappresentazione grafica del progetto, con l’occupante assente o rappresentato a simbolo. L’essere umano non è nemmeno un fenomeno biologico: lui/lei esiste in quanto passeggero passivo di un mondo fondamentalmente sterile e non interattivo. In un secondo livello, l’essere umano è un organismo formato da sensori che interagiscono con l’ambiente. Qui, gli umani sono entità biologiche: animali che possiedono un apparato di sensori che consente loro di ricevere ed utilizzare input definiti in una situazione di connessione biologica al mondo, definita come situatedness (Salingaros & Masden, 2006). In tale visione complessa, l’essere umano rappresenta un sistema biologico evolutosi per recepire ed interagire con la materia inanimata e con gli altri organismi. Gli umani sono considerati degli animali (senza connotazione negativa) e condividono un apparato neurale in grado di dare un senso al mondo naturale. I modi di interazione degli umani sono quelli che percepiamo attraverso i nervi e i sensi. A un terzo livello, l’essere umano è considerato più di un sistema biologico neurale. Ciò corrisponde all’antica visione metafisica dell’uomo come essere spirituale, connesso all’universo in modo diverso da tutti gli altri esseri. Si tratta di una condizione di impegno trascendentale con il mondo. La definizione dell’essenza umana si estende in campi coperti dalla filosofia umanista e dalla religione. Il significato dell’essere umano si trova in questi campi, e tali qualità aggiuntive ci distinguono dagli altri animali. Liquidare tutto ciò come “non scientifico” significherebbe perdere di vista l’umanità. Nelle epoche pre scientifiche — come nel Medio Evo — l’idea di essere umano si fondava quasi esclusivamente su intuizioni che derivavano dall’interiorità. La tensione verso il trascendente ancorava il nostro senso del Sè, e questo avviene ancora oggi per quanti vivono nei Paesi in via di sviluppo. La mistica e la religione, come comprensione intuitiva permettono di agganciare gli esseri umani al loro mondo in una maniera che risulta indipendente dalla scienza. La connessione, inoltre, sembra essere molto più forte dell’ultimo sviluppo scientifico che lega gli esseri umani alla dimensione razionale dell’universo fisico. Un’evoluzione con e non “contro” la natura. Paradossalmente, le tre diverse concezioni dell’essere umano, che vanno dalla separazione (disconnessione), alla connessione biologica, fino al profondo coinvolgimento trascendentale, corrispondono a ritroso a diverse epoche storiche dell’esistenza umana. Ciò appare quanto meno contro-intuitivo. Esprimendo in altri termini tale osservazione, si potrebbe affermare che il genere umano è regredito nel corso dei secoli dalla sua iniziale, profonda connessione all’ambiente circostante (l’universo). L’aver aumentato la nostra conoscenza empirica del mondo non garantisce dunque la nostra connessione ad esso in una dimensione umana. Al contrario, il metodo cartesiano richiede di allontanarci dal mondo in nome dell’osservazione scientifica, al fine di condurre esperimenti riproducibili. Ciò si è rilevato ottimale per la sperimentazione scientifica, ma sicuramente non ci consente di mantenere la nostra essenza e di agire efficacemente come esseri umani nel mondo. Manifesti e teorie dell’architettura come arte biofilica: Christopher Alexander (2001-2005) The Nature of Order, Books 1 to 4 (Berkeley, California: Center for Environmental Structure). Stephen R. Kellert, Judith Heerwagen & Martin Mador (2008) Biophilic Design: The Theory, Science and Practice of Bringing Buildings to Life, edited by (New York: John Wiley) Nikos A. Salingaros (2005) Principles of Urban Structure (Amsterdam, Holland: Techne Press). Nikos A. Salingaros (2006) A Theory of Architecture (Solingen, Germany: Umbau-Verlag). Nikos A. Salingaros & Kenneth G. Masden II (2006) “Architecture: Biological Form and Artificial Intelligence”, The Structurist, No. 45/46, 54-61. Edward O. Wilson (1984) Biophilia (Cambridge, Massachusetts: Harvard University Press); Biofilia (Milano: Mondadori, 1985). Da leggere: GIUSEPPE BARBIERO - Biofilia e Gaia: due ipotesi per una Ecologia Affettiva. La neurotrasmissione glutammatergica Da vedere: Biophilic Design, architettura per la vita «Lo scopo dell’evoluzione, credeteci o no, è la bellezza». |