Sobrietà, frugalità, senso del limite
LE RADICI LONTANE DELLA DECRESCITA Premessa Se, a proposito di decrescita, ci rivolgiamo con interesse agli antichi, citandoli con favore, non è per nostalgia passatista e per scopi di mera erudizione; al contrario, i richiami a certe saggezze del passato, lungi dal costituire un semplice ornamento letterario, risultano indispensabili per maturare una distanza critica dal nostro presente e per elaborare un’alternativa di civiltà dotata di un adeguato retroterra culturale. Infatti benché il termine Decrescita, così come impiegato da Latouche e altri, sia di uso recente, l’idea sottostante invece è antichissima, ed è radicata in varie saggezze cosmocentriche, anche occidentali, che hanno sempre denunciato l’eccesso in nome della moderazione e della “Giustizia cosmica” (cioè estesa ai non-umani). Quest’ultima prevede che nessun ente possa impunemente prevaricare gli altri, che nessuna energia possa espandersi a dismisura mettendo a soqquadro gli equilibri cosmici: nemmeno il Sole potrà farlo, sentenzia Eraclito in un noto frammento1, altrimenti dovrà fare i conti con Dike (la Giustizia cosmica, appunto). Per arginare la tracotanza che spinge all’eccesso, presso la sapienza greca assume una speciale rilevanza la disciplina del “senso del limite”, che si presta ad applicazioni diverse; in Platone, per esempio, si tratta di disciplinare lo psichismo umano, là dove esso propende verso l’eccesso di consumi e di attaccamento alle cose, che porterebbe al predominio delle attività economiche su tutto il resto2. Tale disciplina, e la visione del mondo che la sorregge, rappresenta l’istanza di fondo della Decrescita, tradotta nel linguaggio culturale dei Greci (o meglio della linea cosmocentrica della filosofia greca) e dunque in un contesto molto diverso dal nostro… Da quanto sopra, si può già ricavare che quindi Decrescita non ha una vocazione minoritaria ed estremista, essendo originariamente connessa alla nostra antica tradizione occidentale, considerata nelle sue componenti più elevate dal punto di vista dell’impegno intellettuale, etico e sociale. Ciò che noi oggi chiamiamo Decrescita, al tempo dei Greci si configurava sostanzialmente come un’idea incentrata sulla moderazione e sulla temperanza, come una virtù cardinale (vedi Platone ed il Neoplatonismo) che doveva neutralizzare le prevaricazioni e orientare la vita privata e pubblica, in funzione dell’armonia nel corpo sociale e nell’intera vita cosmica. Ebbene, mutatis mutandis anche oggi è così: Decrescita è un’idea di buon senso e di moderazione, che corrisponde alle elaborazioni più avanzate che attraversano le scienze, l’economia, l’etica, la filosofia, la spiritualità… queste elaborazioni, tutt’ora in corso di approfondimento, intrecciandosi e rinforzandosi a vicenda, finiscono per abbozzare un nuovo paradigma di civiltà, che è appunto un paradigma globale di Decrescita, come tale non riducibile ad un mero coacervo di obiettivi specifici e settoriali, perché, senza nulla togliere ad essi, è molto di più del loro insieme. Soffermiamoci su questo punto così significativo, e chiediamoci: è possibile elaborare un paradigma globale di decrescita, ignorando certi aspetti della tradizione occidentale e rinunciando al contributo di antiche saggezze? La risposta non può che essere negativa, ed anzi occorre insistere sul fatto che la visione della decrescita, per aspirare ad una influente presenza culturale nel nostro tempo, deve raggiungere una maturità di pensiero, che risulta dalla capacità di assemblare contributi di diversa provenienza (per esempio quelli sopra citati): tra questi, l’apporto dovuto alle saggezze cosmocentriche occidentali è uno dei più significativi e indispensabili, per completare verso l’alto l’idea di decrescita. In assenza di questo necessario completamento, la decrescita viene inevitabilmente banalizzata e ridotta ai minimi termini, cioè ad una sommatoria di richieste di basso profilo, che sotto la maschera di una presunta concretezza nascondono la carenza di pensiero, o meglio di “intellettualità” nel senso nobile e originario del termine . In questo contesto, capita sovente che tematiche quali il risparmio energetico, le energie alternative, il riciclaggio… pretendano di assorbire o quasi il significato di decrescita, perdendo di vista o ignorando tutto il resto. Oppure, quando ci si avventura nell’ambito dei riferimenti culturali di largo respiro, si prendono forti abbagli, avvicinando alla decrescita autori e concetti per lo più incompatibili con essa (Aristotele e Kant sono gli esempi più eclatanti). Queste incertezze (o peggio)ci dicono che c’è ancora molta strada da percorrere, e che siamo solo agli inizi: ben vengano perciò i contributi provenienti dalle fonti più diverse. Saggezza cosmocentrica occidentale: idee strutturali per una prospettiva di decrescita In apertura, abbiamo citato in modo cursorio alcune di queste idee: ora vogliamo indugiare un po’ su di esse, per chiarirne meglio il significato e per mettere a fuoco ciò che esse possono apportare per strutturare e arricchire il paradigma in fieri della decrescita. Come hanno segnalato moltissimi autori, la catastrofe ecologica del nostro tempo è intimamente correlata ad una visione del mondo che si è affermata all’inizio dell’età moderna , in controtendenza rispetto a molte idee del passato (che comunque non vogliamo certo idealizzare); alcune di tali idee, costituiscono però dei punti di riferimento irrinunciabili, perché, opportunamente ripensate e riattivate, possono orientare in modo diverso e costruttivo il mondo odierno. Vediamone alcune. Cosmocentrismo: abbiamo citato, all’inizio, la linea cosmocentrica della filosofia greca, quale saggezza di riferimento. La nozione in questione richiede di essere chiarita tramite confronto con concetti simili, spesso richiamati nelle riflessioni del nostro tempo che riguardano l’ecologia e la decrescita: biocentrismo ed ecocentrismo. Si tratta di tre espressioni che presentano un tratto comune: proporre un’alternativa all’antropocentrismo, accusato di promuovere una visione del mondo incentrata sull’uomo, che considera tutto il resto come oggetto o risorsa a disposizione delle progettazioni umane. Tuttavia, le prospettive che ne discendono presentano differenze non da poco che meritano di essere focalizzate (anche se, nell’uso comune, queste diversità spesso non affiorano ed anzi si ritiene ingenuamente che i termini siano per lo più interscambiabili). Il biocentrismo nasce dalla necessità di mettere al centro non semplicemente la vita umana, ma la vita in generale: si tratta di “salvare” gli enti viventi in quanto tali, garantendo ad essi uno stesso rispetto, indipendentemente dal fatto di avere caratteristiche umane o meno. Il biocentrismo è animato da buone intenzioni, perché cerca di estendere l’orizzonte dell’etica, includendovi gli animali e via via gli altri viventi: esso comporta un sostanzioso progresso rispetto all’etica kantiana e personalista, che si prende cura solo della persona umana. Tuttavia, non mancano le obiezioni: la più importante, avverte che in questo modo si tende ad operare una demarcazione sgradevole e discutibile tra vivente e non-vivente, relegando quest’ultimo in una posizione di subordinazione al primo; l’interrogativo che ne discende è questo: montagne, fiumi, terra … sarebbero allora dei non-viventi privi di copertura etica, dato che questa verrebbe assicurata solo ai viventi? Nel rispondere a contestazioni del genere, Arne Naess ha osservato che il termine “vita” va assunto in modo estensivo e flessibile, così da includere anche “la vita del fiume”, o di qualsiasi altro ente apparentemente inanimato: in definitiva, il significato di “vita” verrebbe dilatato ad oltranza, diventando altamente inclusivo… Procedendo in questa direzione, per evitare equivoci ricorrenti, altri hanno preferito valorizzare il termine “ecocentrismo”, che sembra presentare vantaggi non da poco: mette al centro non l’ente vivente, i cui contorni sono difficili da tracciare, ma la rete ecologica nel suo complesso, fatta di innumerevoli correlazioni tra gli esseri, indipendentemente dal fatto che siano considerati viventi o meno. Presentato così, l’ecocentrismo sembra un sinonimo dell’antico cosmocentrismo: infatti anche quest’ultimo, invece di privilegiare qualche ente, o qualche gruppo di enti, mette in primo piano il grande intreccio cosmico, le connessioni grossolane e sottili che legano tra di loro tutti gli esseri, così da comporre un tutto unitario, che in vari contesti culturali figura come un macrocosmo, come un unico grande animale vivente, come una realtà complessa attraversata da un unico soffio vivificatore. E’ straordinario notare le assonanze profonde tra certe correnti post-cartesiane, olistiche, delle scienze contemporanee, e le correnti cosmocentriche della filosofia greca: l’ecocentrismo (che si afferma in ambito principalmente scientifico ed ecologico) e il cosmocentrismo (che nasce nell’antichità in ambito filosofico)finiscono per incontrarsi, ricucendo la lacerazione che aveva contrapposto per troppo tempo scienza e filosofia. Si tratta di un incontro promettente cui la decrescita non può rimanere estranea, per motivi facilmente intuibili: dovendo cercare anch’essa un’alternativa allo sviluppismo antropocentrico, si trova nella condizione vantaggiosa di avere a disposizione riferimenti scientifici e filosofici di grande rilevanza e portata, capaci tra l’altro di gettare un ponte tra presente e passato. Poiché qui ci occupiamo delle fonti lontane della decrescita, e quindi del cosmocentrismo degli antichi, occorre aggiungere che quest’ultimo è incastonato, per così dire, in una visione globale, o meglio in una metafisica, che fornisce i parametri di fondo indispensabili per articolare in modo sistematico (non nel senso hegeliano, ma nel senso del sistema aperto) il pensiero della decrescita. Alcune idee che la decrescita sta abbozzando (frugalità, senso del limite, rispetto della natura, economia incorporata nella società e negli ecosistemi… ) si trovano abbondantemente prefigurate nella saggezza cosmocentrica, con qualcos’altro in più, su cui dovremo soffermarci. Sobrietà, frugalità, senso del limite Specialmente dopo l’ultimo libro di Serge Latouche, dedicato all’abbondanza frugale3, il tema della sobrietà è stato ampiamente riscoperto, suscitando simpatie negli ambienti ostili al consumismo dilagante; occorre aggiungere che la sobrietà occupava una posizione che non è esagerato definire assiale nelle antiche saggezze cosmocentriche occidentali, e per questo essa è stata abbondantemente celebrata da poeti, artisti e filosofi. Molto spesso, la troviamo indicata con il termine sophrosyne, solitamente tradotto con temperanza, moderazione, autocontrollo… e comunque con espressioni che rimandano al senso della misura, mentre i termini opposti rinviano alla dismisura, che è legata alla tracotanza (hybris) che spinge all’eccesso. A voler trovare citazioni idonee nell’ambito della cultura greca, non c’è che l’imbarazzo della scelta: questo perché il carattere assiale di sophrosyne non è la tesi di qualche singolo autore, per quanto importante, ma corrisponde ad un orientamento di fondo così ben presente nel mondo greco, da travalicare le differenze e le polemiche tra le varie scuole. Non è azzardato sostenere che, nell’età dei Presocratici così come in quella di Socrate, la sobrietà appartiene ancora al sapere di sfondo dell’epoca, proprio come consumismo e sviluppismo appartengono a quello del nostro presente, nonostante la diffusione crescente di messaggi antisviluppisti. Platone ci offre un’autorevole conferma della tesi che stiamo sostenendo, quando dichiara che “sophrosyne si estende senz’altro attraverso l’intera città, facendo cantare insieme all’unisono lo stesso canto ai più deboli e ai più forti e a quelli di mezzo”4: egli infatti considera sophrosyne la virtù cardinale per eccellenza, e come tale deve o dovrebbe permeare la città intera, e non una sua frazione. Ma quando egli scrive così, ha la sensazione che la civiltà della moderazione sia in realtà in declino: buona parte della sua militanza filosofica è dedicata al tentativo di salvare, o di rivitalizzare, questo tipo di civiltà, di fronte al presentimento inquietante dell’affermarsi di un’età terribile, quella dell’eccesso, della smisuratezza. In questo quadro, vanno lette le numerose riflessioni dedicate da Platone (e poi dai Neoplatonici) alla disciplina della sobrietà, quale perno attorno al quale risollevare o riordinare la città: la polis, per fronteggiare gli squilibri dovuti all’avanzata della tracotanza (hybris) ha bisogno di sophrosyne e delle sue molteplici applicazioni nella vita quotidiana (nel mangiare, nel vestire, nel controllare le attività economiche, nel gestire il potere politico e la cosa pubblica… ). In un contesto molto diverso, quello dell’età dell’eccesso e dello sviluppismo, la decrescita vede, giustamente, uno spiraglio di salvezza nell’etica della sobrietà: si tratta perciò di riattualizzarla, senza ripartire da zero, in modo velleitario, ma recuperando l’esperienza grandiosa che di essa hanno fatto gli antichi. Che cosa possono ancora insegnare al riguardo? Prima di tutto: la sobrietà non riguarda solo il mondo umano, o addirittura i singoli individui , ben di più, ha una valenza cosmica. Guardando gli eventi umani in una prospettiva cosmica, la visione viene ampliata e tutto assume un significato più profondo: ce lo insegna la saggezza di Anassimandro, che nella manualistica è noto come il filosofo dell’Illimitato; ma nello stesso tempo, egli è anche il filosofo del senso del limite, e la contraddizione qui è solo apparente. Egli infatti insegna che, nella realtà illimitata (Apeiron), le forze cosmiche opposte che costituiscono gli eventi del mondo manifesto, sono tali(opposte e diverse) proprio perché “limitate” e quindi ricondotte ad una qualche “misura” in cui devono o dovrebbero trattenersi: ogni tentativo di travalicarla equivale ad un’ingiustizia cosmica, ad una “colpa” che deve essere espiata; più filosoficamente: ad un eccesso che deve essere riequilibrato. Ma a ben vedere anche questa non è la tesi particolare di un pensatore originale (anche se così ci presentano i filosofi antichi i manuali di storia della filosofia): infatti la ritroviamo in Eraclito, nei Pitagorici, in Platone, nei Neoplatonici, in buona parte della letteratura greca, nella mitologia… possono cambiare le formule espressive, ma i contenuti più essenziali permangono, cosicché non è azzardato affermare che essi appartengono ad una tradizione, ad un sapere diffuso che garantiva un orizzonte di senso nel modo di esperire il mondo. Quando l’enigmatico e scontroso Eraclito annuncia che la vicenda cosmica nel suo immenso e ritmico fluire è come un grande fuoco, “che divampa secondo misure e si spegne secondo misure”, egli non fa che ricalcare una visione tradizionale, secondo la quale la misura, il senso del limite, costituisce l’impalcatura portante delle vicissitudini cosmiche: di conseguenza, ad essa devono attenersi anche gli umani, praticando sobrietà e moderazione. Su quest’ultimo punto, la trattazione più estesa la troviamo nei libri III e IV della Repubblica di Platone (e poi nel relativo Commento di Proclo): nell’itinerario formativo dei giovani, e dei buoni cittadini, la disciplina della moderazione occupa una posizione privilegiata. Ma benché qui Platone si occupi principalmente del mondo umano, quello che lui dice si staglia sullo sfondo dell’ordine cosmico così come delineato dai suoi predecessori: il senso del limite di cui si occupano gli umani, è un affare che non resta mai circoscritto all’interno della polis, perché riguarda in definitiva la grande casa cosmica e i suoi dinamici equilibri. Il detto di Platone “la moderazione (sobrietà) è una forma di kosmos” raffigura bene questo punto di vista. Perciò la domanda di fondo che viene posta è questa: cosa possono fare di grande gli umani, per contribuire all’ordine e alla giustizia cosmica, cui volenti o meno sono tenuti a partecipare? Sophrosyne, la disciplina della misura, contiene le risposte essenziali a questa domanda. Possiamo riformulare la questione in questi termini molto generali: poiché la propensione all’eccesso sembra insita nello stato attuale (quello di Platone) dell’umanità, si tratta di organizzare un lavoro di contenimento che parta possibilmente dall’interiorità, e che assuma come modello la sobrietà dell’ordine cosmico, in cui perfino Notte e Giorno si alternano senza prevaricare. L’espansione eccessiva di qualsiasi energia cosmica è un fattore destabilizzante di squilibrio, una prevaricazione contro le altre energie: perciò bisogna sempre e comunque limitare qualcosa per lasciar spazio a qualcos’altro, il limite assicura rispetto, armonia e pluralismo ontologico, ingredienti essenziali della giustizia cosmica. Tutto questo vale anche per il mondo umano, che tende a sopravalutarsi rispetto a tutto il resto (su questo punto, Platone ha scritto pagine memorabili, che stanno alla base di qualsiasi critica all’antropocentrismo). Restando all’interno del mondo umano, questa stessa propensione all’eccesso e alla disarmonia tende a materializzarsi come eccesso di attività economica, come eccesso di consumo, come eccesso di potere: il pensiero sociopolitico platonico nasce dall’esigenza di contrastare tutto questo, anticipando alcune tematiche care alla decrescita, perciò è lecito considerare Platone un grande maestro, ante litteram, di decrescita. L’essere umano e il suo soggiornare nel mondo La saggezza cosmocentrica insegna quindi che non si può ridurre la questione “sobrietà” ad un fatto moralistico e sentimentale riguardante più che altro la sfera umana soggettiva: ciò che è in gioco, è sempre la relazione con l’immensità del Tutto (Apeiron), e con i suoi innumerevoli ospiti . Le saggezze e gli autori citati, offrono gli schemi basilari per vivere nel mondo, o, meno banalmente, per soggiornare nell’immensità del Tutto: le applicazioni che ne discendono sono innumerevoli, ed alcune le abbiamo già citate5. In chiusura, vogliamo soffermarci sulle applicazioni a carattere scientifico ed etico, che apparentemente sembrano così distanti. Le scienze moderne hanno una impostazione cartesiana: questo nella misura in cui ritengono che qualsiasi realtà complessa sia frazionabile nelle sue componenti più semplici, rispetto alle quali si può avere una conoscenza chiara e distinta, che fa uso del linguaggio matematico. La manìa dello specialismo e della parcellizzazione nasce da qui. Questo metodo analitico e separativo, ha permesso all’uomo di diventare signore e padrone della natura, proprio come auspicava Cartesio (e con lui la quasi totalità dei filosofi e degli scienziati moderni): molte realtà naturali sono state smontate, modificate e ricomposte secondo la progettualità della tecnoscienza, creando un mondo artefatto che si sovrappone a quello naturale, con conseguenze inquietanti che sono sotto gli occhi di tutti. Di qui, anche per la decrescita, l’esigenza di un diverso modello di scientificità (che non va confusa con una critica regressiva e antimodernista in quanto tale). Molti ricercatori si stanno impegnando in questa direzione: al posto dell’isolamento e del sezionamento dei fenomeni, privilegiano le interconnessioni a largo raggio e la complessità; invece di comprimere l’osservazione e lo studio verso i dettagli, cercano la visione d’insieme. Autori come Fritjof Capra hanno ben descritto le caratteristiche di questo nuovo e promettente approccio di ricerca che investe le scienze della natura ma non solo; la corrente nota come Ecological Economics promuove da tempo lo studio integrato dell’economia umana e degli ecosistemi, con risultati eloquenti. Uno dei suoi maggiori esponenti, Robert Costanza, ha espressamente dichiarato che Platone può essere considerato un illustre precursore, forse il principale, di questo metodo di indagine tutt’altro che cartesiano: qui Platone rappresenta ciò che abbiamo indicato come la linea cosmocentrica della filosofia greca, effettivamente fautrice di un approccio unitivo, antiriduzionista e intrinsecamente ecologico, che merita di essere ripensato in un’ottica di decrescita e di ecologia profonda. Questo metodo di studio richiede un diverso atteggiamento, molto più responsabile, nei riguardi del mondo: non l’aggressività di matrice baconiana, ma il rispetto; non la volontà di potenza, ma il lasciar-essere, la contemplazione; non le velleità antropocentriche, ma l’apertura cosmica; non l’ostilità dell’uomo contro la natura (dualismo uomo-natura), ma l’appartenenza simpatetica in cui tutti gli enti con-spirano (respirano assieme): tutto questo indirizza verso una metafisica non-dualistica, che meriterebbe una riflessione a parte, e verso un’etica della con-spirazione cosmica. Con quest’ultima espressione, si vuole rivalutare un tratto fondamentale delle saggezze cosmocentriche: il fatto che nessun ente è un’isola separata (per dirla alla Merton), tanto meno l’uomo. L’essere umano non ha privilegi da difendere o da ingrandire, separandosi e contrapponendosi a tutto il resto, come vorrebbe l’antropocentrismo: al contrario, l’essere umano ha caso mai responsabilità aggiuntive, e in questo consiste la sua eventuale grandezza6, che non è fatta di potenza, ma di mitezza e di apertura all’immensità del Tutto. Proclo, commentando Platone, compendia molto bene il concetto sul versante politico: egli osserva che la vera politica ha una configurazione cosmica, perché scaturisce dalla contemplazione dell’ordine dell’universo, che, come dicevano gli antichi pitagorici, è armonia di elementi dissenzienti, cioè di energie diverse e opposte. Qui è intuibile quale sia la responsabilità umana (politica, ma anche etica): collaborare con l’ordine cosmico, collaborare all’armonia universale, perché anche l’uomo è generato per la migliore conformazione del Tutto, come ripete un notissimo passo platonico delle Leggi (X, 903c): qui è sintetizzata l’etica soggiornare nell’illimitatezza del Tutto. L’età moderna, dominata dall’arroganza dell’antropocentrismo e della tecnoscienza, ha deviato verso tutt’altra direzione: invece di imitare il divino come accoglienza e dimora ospitale nei riguardi di tutti gli esseri, umani e non umani, ha imitato un dio perverso, immaginato come ente superpotente e partigiano che tratta l’uomo come un ente raccomandato e gli altri enti come sottomessi. La decrescita ha il merito di essere riuscita a denunciare almeno una parte di questa deviazione epocale, ma non è sola, la sua forza consiste nell’avere alle spalle non alcuni circoli organizzati di decrescita, ma un grande retaggio culturale, di cui non ha ancora consapevolezza. Senza di esso, non potrà farcela. Hӧlderlin, il poeta più sapiente degli ultimi secoli, ha condensato le riflessioni di cui sopra nel detto: “I figli della terra amano il Tutto” (inno Il Reno). Un monito per rammemorare il significato più profondo di quell’antico retaggio sapienziale. NOTE 1 “Helios non andrà oltre la sua misura: altrimenti lo sorprenderanno le Erinni, ministre di Dike” (Eraclito, fr. 25). Il senso del limite pervade e struttura l’intero ordinamento cosmico, immaginato come “Fuoco sempre vivente, che con misura divampa e con misura si spegne” (fr. 2). 2 Platone, in nome del senso del limite, critica la società degenerata, gonfia, dispendiosa e inutilmente complessa per l’eccesso di beni, di consumi, di infrastrutture… (vedi per esempio Gorgia 518e – 519a). Egli anticipa così la critica che la Decrescita attuale muove alle società sviluppiste. Uno degli aspetti più interessanti della dottrina politica platonica consiste proprio in questa denuncia e nel tentativo di fornire indicazioni pratiche per evitare i pericoli di una società incline all’eccesso in economia come in altri campi. 3 Serge Latouche, Per un’abbondanza frugale, Bollati Boringhieri, 2012. 4 Repubblica 432a . 5 Per ulteriori applicazioni, riferite a saggezze ecologiche non elleniche, si veda la bella intervista a Pietro Laureano, intitolata Gli antichi? Maestri di futuro (intervista a cura di Valeria Palumbo, in L’Europeo n. 11, 2011). 6 Si tratta di una grandezza eventuale, che non va data per scontata: infatti, a dire il vero, negli ultimi secoli l’umanità non è stata all’altezza delle sue possibilità più elevate, e molto spesso ha offerto testimonianze di tutt’altra natura, che non vanno a suo onore. L’idea antropocentrica, checché ne dicano certi sostenitori in buona fede, ha favorito il deragliamento dell’umanità verso pratiche e scopi tutt’altro che nobili. dello stesso autore Paolo Scroccaro invito alla lettura di: Ecologia Profonda
|