Noi viviamo nel migliore dei mondi possibili!
Scrive Maurice Maeterlinck nel suo splendido libro La vita delle api (titolo originale: La vie des abeilles, prima edizione, 1901; traduzione italiana di Marco Buzzi, Roma, Newton Compton Editori, 1991, pp. 158-159), uno di quegli aurei volumi che non dovrebbero mancare nella libreria di una persona di media cultura e di spiccata sensibilità: “Una volta ammessa l’evoluzione degli apoidei, o almeno degli apini – poiché questa è un’ipotesi più verosimile di quella della fissità – quale direzione, generale e costante, attribuire a tale evoluzione? Sembra seguire la stessa direzione imboccata da quella umana. Essa spinge chiaramente per una diminuzione della fatica, dell’insicurezza e della miseria, e per un aumento del benessere, delle possibilità favorevoli alla specie, e della sua autorità. Per raggiungere lo scopo non esita a sacrificare il singolo, risarcendo la smarrita indipendenza dei solitari, d’altronde illusoria e non felice, con la forza e il benessere garantiti dal gruppo. Parrebbe che la natura – come Pericle nel racconto di Tucidide – pensi che gli individui possano essere più felici, anche se in quanto tali soffrono, quando vivono in una città nel suo complesso florida. Più felici che non se lo Stato fosse malridotto e il singolo stesse bene. La natura assicura protezione allo schiavo industre delle potenti città, e abbandona il passante privo di doveri nell’associazione precaria ai nemici informi e anonimi che affollano ogni minuto dello scorrere del tempo, e tutti i movimenti dell’universo, e tutte le pieghe dello spazio. Non è ora il caso di stare a fare questioni su questo modo di pensare della natura, né di chiedersi se l’uomo farebbe bene ad imitarlo. Quello che è sicuro è che, dove la massa infinita si apre a lasciarci scorgere il simulacro di un’idea, tale simulacro s’incammina in questa direzione, verso una meta a noi ignota. Per quel che ci concerne, ci limiteremo a prendere atto con cui la natura si industria a preservare e a fissare, nella razza che si evolve, tutto ciò che è stato strappato all’inerzia ostile della materia. Essa segna un punto ad ogni sforzo riuscito, e fa barriera contro le possibili risacche, fatali dopo uno sforzo, facendo leva su non si sa bene quali leggi particolari e benevole. Questo progresso, che sarebbe difficile da negare nelle specie più intelligenti, ha forse come proprio unico scopo il proprio movimento, senza sapere dove lo porti. Comunque sia, in un mondo dove nulla, se si eccettua qualche fato del genere, mostra una volontà precisa, è piuttosto significativo l’esempio di alcune creature in grado di elevarsi con misurata costanza, dal giorno in cui noi abbiamo aperto gli occhi. E se le api non avessero altro merito che quello di averci posto di fronte a questa misteriosa spirale di luci che rischiara la notte onnipotente, sarebbe per noi già sufficiente a non rimpiangere il tempo speso a studiare le loro minuscole imprese e le loro umili abitudini, così distanti dalle nostre grandi passioni e dai nostri destino orgogliosi, eppure anche così vivine ad esse. “Può pure essere che tutto ciò sia inutile, e che la nostra spirale di luci, come la luminaria delle api, non si illumini che per far divertire le tenebre. O può accadere anche che una catastrofe originatasi in un altro mondo o in un nuovo fenomeno, imprima di colpo a tale sforzo il suo senso definitivo e lo distrugga per sempre. Proseguiamo nel frattempo il nostro cammino come se nulla di strano dovesse accadere. Se sapessimo che l’indomani una rivelazione – per esempio un contato con un pianeta più antico ed illuminato – arriverà a sconvolgere il nostro modo d’essere, sopprimendone le passioni, le leggi e le verità più radicali, la cosa migliore da fare sarebbe di dedicare tutto il tempo rimanente ad esaminare codeste passioni, leggi e verità, per armonizzarle nel nostro spirito, e poter restare fedeli al nostro destino che ci spinge ad imbrigliare e ad innalzare di qualche gradino, in noi ed attorno a noi, le forze oscure della natura. Può darsi che la nuova rivelazione non lasci in piedi nulla di tutto questo, ma è impossibile che coloro che avranno seguito fino alla fine questa missione che compete all’uomo, non stiano poi in prima fila ad accogliere tale rivelazione. E quando pure questa insegnasse loro che il solo vero obbligo è quello di mostrarsi privi di curiosità e rasserenarsi di fronte all’inconoscibile, essi meglio degli altri potranno comprendere in cosa consistano tale assenza di curiosità e tale rassegnazione definitive, e trarne profitto.” Dalle altezze cosmiche e dagli abissi del tempo e dello spazio evocati in questa sublime pagine di Materlinck, torniamo alla vita quotidiana dell’alveare nella sua umile e, tuttavia, straordinariamente complessa attività. Oggi noi sappiamo che si tratta di un’attività estremamente antica e che risale a qualcosa come 5.000 anni addietro; infatti, possediamo sicure testimonianze del fatto che l’agricoltura era già praticata, sulle rive del Nilo, al tempo in cui i Faraoni regnavano sull’Egitto e le piramidi levavano già la loro mole superba verso le lontane costellazioni celesti. Né si trattava puramente e semplicemente di un ramo qualsiasi dell’economia agraria, poiché, oltre al valore economico dell’allevamento delle api, finalizzato alla raccolta del miele alle loro capacità di impollinazione e di fecondazione incrociata su svariate piante coltivate (dall’erba medica agli alberi da frutto, dal grano saraceno al trifoglio, al cotone, al girasole), i popoli antichi conoscevano bene le potenzialità energetiche e terapeutiche presenti nel miele d’ape. La persona umana, dotata di ragione e volontà, è la natura divenuta autocosciente. Tutto quello che l’osservazione della natura ci autorizza a concludere, è che nella natura esistono delle costanti, delle regolarità, un’armonia; esiste un ordine.
Cercate di ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo (Plotino)
P.S. |